16 ott 2022

Writober 2022 - 16.Pollame

Le porte del supermercato si aprirono producendo un rumore molto strano. Lucy, che già stava combattendo con sé stessa se entrare o meno, venne quasi spaventata da quel rumore. Eppure varcò quella porta, stringendo il manico del carrello e guardandosi in giro ancora indecisa su cosa comprare

Passando dal reparto ortofrutta notò i kiwi in offerta ma, dopo averci pensato qualche secondo, decise di proseguire senza prenderli. 

«Questo assolutamente sì» disse prendendo una confezione di succo di mela.

Voltando l’angolo passò dal reparto prima colazione, diede una veloce occhiata ai cereali ma non prese nulla. Era pieno di biscotti e fette biscottate ma, per quanta fame potesse avere, non le piacevano minimamente. 

Lucy si diresse verso il reparto surgelati e qui mise nel suo carrello un paio di vaschette di gelato, dei cornetti surgelati e degli anelli di cipolla. Diede un’occhiata alle pizze ma nessuna la attirava.

Nel momento in cui dovette decidere la corsia da percorrere venne presa dall'indecisione ma alla fine proseguì verso il reparto macelleria.

«Oh ci sono le salsicce, queste le prendo sicuro. E anche le puntine.» 

Continuando a guardare l’attenzione cadde sul reparto pollame stracolmo di merce 

«Potrei prendere il pollo per farlo al forno. Oppure le cosce per farle fritte. Lascio la salsiccia, anzi la tengo, meglio averla nel caso in cui mi venga un disastro il pollo.»

Parlava tra sé, facendo mente locale su cosa cucinare.

Di fretta tornò indietro dal corridoio per prendere uova e pangrattato, poi ci ripensò e prese i cereali per una frittura più croccante. 

«Ci vuole da bere, ovviamente»

Quasi come se avesse fretta, corse verso il reparto bibite e mise nel carrello un paio di bottiglie di cola, una lattina di birra e un paio di lattine di energy drink.

Guardò il carrello per decidere se prendere altro o lasciare qualcosa ma l’unica cosa che le venne in mente era che ci voleva qualcosa da sgranocchiare in attesa che cuocesse la cena. 

«Patatine o salatini? Boh prendo entrambi» disse tra sé afferrando con una mano un pacco di patatine al formaggio e con l’altra dei salatini a forma di pretzel.

Il carrello era quasi pieno ma Lucy sembrava ancora insoddisfatta così girò per i vari reparti guardando cos’altro prendere. 

«Potrei fare una fonduta di formaggio per accompagnare il pollo» disse stazionando di fronte il reparto latticini. 

Messe nel carrello un paio di confezioni di formaggio, si diresse nuovamente nel reparto prima colazione per prendere dei panini dolci per accompagnare il gelato. 

«Dovrei aver finito» disse Lucy guardando il carrello stracolmo. 

dirigendosi verso le casse notò nel reparto pane e pasticceria diversi tipi di ciambelle e ne prese un paio di lamponi e una al cioccolato. 

Arrivata finalmente alla cassa, la cassiera rimase quasi impressionata dalla mole di prodotti che Lucy le stava passando

«Cena in famiglia?» le chiese sorridendo 

«Cosa? Ah…beh più o meno»

La cassiera non fece altre domande, presentò il conto a Lucy che pagò e uscì e si diresse verso l’auto. 

Solo adesso iniziava ad avere qualche ripensamento sulla spesa appena fatta. Sistemava i vari sacchetti nel portabagagli e ripensava alla frase della dalla cassiera. Del resto, con tutto quel cibo, era normale pensare ad una cena con numerosi invitati. Eppure lei non aveva nessuno come ospite. Nessun amico o familiare le avrebbe fatto compagnia né quella sera né altri giorni. 

Sarebbe rimasta da sola, a cucinare e mangiare fino a sentirsi scoppiare. Come faceva ogni volta che qualcosa al lavoro andava male o che l’umore precipitava sottoterra. 

Doveva farlo, come se una forza dentro di lei prendesse il controllo. Se qualcosa andava storto e non mangiava, il suo corpo stava male, lo stomaco le si rivoltava e la salivazione aumentava. Per resistere alla tentazione di mangiare finiva per rosicchiarsi le unghie o mordersi l’interno delle guance.

Finito di posare la spesa in auto Lucy era ormai in preda al rimorso, stava quasi pensando di riportare tutto indietro ma il suo corpo, come manovrato da un marionettista, salì in auto e mise in moto, dirigendosi verso casa. 

«Ormai che ho fatto la spesa ne approfitto, ma sarà l’ultima volta. Deve essere l’ultima volta.» disse Lucy a voce alta mentre guidava verso casa, con la musica alla radio a tutto volume. 

Ma, sebbene cercasse di convincersi da sola, Lucy sapeva benissimo che quella non sarebbe stata l’ultima volta.


15 ott 2022

Writober 2022 - 15. Armadillo

 James era seduto sul divanetto della sala d’aspetto da ormai più di mezz’ora. Quella mattina si era messo l’abito migliore e si era pettinato per bene, nella speranza che un bell'aspetto avrebbe influito positivamente nel colloquio. Restava immobile fissando un quadro davanti a sé, in attesa che venisse chiamato. Era da solo in sala e non capiva se la cosa lo spaventava o incoraggiava. Era così intento a far chiarezza tra di sé che quasi non sentì la voce del segretario che lo chiamava. Scattando in piedi come una molla, fece un sorriso al segretario ed entrò nella sala dove si svolgeva il colloquio. 

Alla scrivania c’era una donna sui quarant’anni, con una treccia di capelli castani adagiata sulla spalla sinistra e degli occhiali di un insolito verde petrolio. 

«Prego, si accomodi» disse la donna indicando una sedia di fronte a lei

James sorrise e si accomodò. Non fece in tempo a sedersi che venne colpito subito da un piccolo armadillo in legno intagliato, poggiato sul tavolo della donna proprio accanto dalla targhetta col nome. Non era più grande di una mela, di un legno chiaro che metteva in risalto le incisioni che davano vita all’armadillo. James sentì dentro di sé una voglia irrefrenabile di avere quell’oggetto

«Bene, signor Peters. Il suo curriculum è ottimo ma vorrei che mi parlasse un po’ di lei»

James distolse lo sguardo dall’armadillo e guardò la donna. Non aveva sentito ciò che aveva detto e cercò di far finta di nulla. 

«Non saprei da dove iniziare»

«Mi parli della sua formazione e da dove è nato l’interesse verso questo campo» rispose la donna che apparentemente non si era accorta del bluff di James.

«È un interesse che mi è stato trasmesso da mio padre fin da piccolo e ho capito di esserne portato nei primi anni di liceo.» 

James cercava di ripetere per bene il discorso che si era già preparato a casa ma era distratto continuamente da quel piccolo armadillo in legno. Ad un certo punto sembrò che si fosse girato per guardarlo «Ho concentrato il mio percorso in questa direzione e questo colloquio è già un traguardo importante»

La donna sembrò lusingata da quella frase, del resto era questo l’intento di James

«Vedo nel suo curriculum che ha avuto esperienze di lavoro in team, è una attività che la stimola?»

James non toglieva gli occhi dall'armadillo sebbene sapesse che fosse importantissimo guardare negli occhi l’interlocutore «Beh sì, sono una persona che lavora bene sia da solo che in team»

Gli prudevano le mani, si grattava i palmi con forza nel tentativo di calmare la voglia di afferrare l’armadillo dal tavolo e metterselo in tasca. Era probabilmente l’oggetto meno di valore in quella stanza ma lui lo voleva, ne aveva bisogno. 

La donna continuò a fare domande a James ma sebbene lui rispondesse nel migliore dei modi, ormai il suo unico interesse era quell’armadillo. 

Lo squillo del telefono della donna lo distrasse improvvisamente. Guardò la donna che parlava al telefono e venne preso dal panico. Iniziò a pensare al peggio, che qualcuno stesse osservando il colloquio da una telecamera nascosta e si era accorto del suo desiderio verso l’armadillo. Quando la donna, sempre al telefono, lo guardò negli occhi deglutì sicuro che l’argomento della telefonata era proprio lui. La donna però posò il telefono e si alzò dalla sedia 

«Mi deve scusare un attimo, ho una chiamata importante. torno subito»

Rimasto solo James si guardò intorno, in cerca di una telecamera o qualcosa che potesse nasconderla. La libreria? Il quadro? Lo specchio? Pensò tra sé che non aveva senso che ci fosse una telecamera e tornò a guardare l’armadillo. Era proprio davanti a lui, a pochi centimetri di distanza. Poteva essere la sua occasione, quando gli si sarebbe ripresentata un’opportunità del genere? 

James stava cedendo, molto lentamente alzò il braccio e lo allungò verso l’armadillo, pronto ad afferrarlo e infilarlo in tasca. Si sporse in avanti dalla sedia per arrivare a lui, lo aveva quasi sfiorato ma dovette ritirarsi come un fulmine sentendo la porta aprirsi. 

La donna tornò a sedersi davanti a lui, con un sorriso luccicante

«Benvenuto a bordo signor Peters. Il segretario le darà indicazioni più precise.»

James era quasi incredulo. Nessuno lo stava spiando e nessuno lo aveva scoperto nel suo tentativo di rubare l’armadillo. 

I due si diedero la mano e James venne invitato a uscire. Prima di chiudere la porta dietro di sé diede un ultimo sguardo a quel bellissimo armadillo in legno, sconsolato di doverlo lasciare li. 

Ma forse un giorno sarebbe diventato suo, chissà.


14 ott 2022

Writober 2022 - 14.Vuoto

 14 Ottobre 2022


Caro diario, oggi più che mai non ho alcuna voglia di scrivere ma mi rimbomba in testa la voce della psicologa che mi raccomanda di scrivere con regolarità. E quindi eccomi, sono qui a scriverti. 

Cosa devo scrivere ancora non lo so, visto che è tutto uguale alla settimana scorsa. 

Mi alzo, svolgo i miei compiti tra università e lavoro, mi rimetto a letto. 

Queste sono le mie giornate. 

Un loop infinito di mansioni che svolgo solo perché “devo”. 

Non ho voglia di fare niente, ciò che un tempo mi appassionava ora mi annoia. Vorrei solo restare a letto, abbracciata alle lenzuola e vedere la mia vita scorrere via. 

Non che sia molto diverso da quello che faccio, non a letto, ma ogni giorno che passa vedo la mia vita scivolare via come acqua in un ruscello. 

Ogni giorno indosso la mia maschera sorridente ma dentro ho un vuoto incolmabile. 

Un vuoto che diventa ogni giorno più grande. E per quanto mi sforzi, almeno ad arrestare il suo ingrandimento, cercando nuovi scopi e nuovi obiettivi nella mia vita, questo vuoto mi sta logorando. 

Mi sento come una malata terminale che conta i giorni che le restano da vivere, sapendo che ogni giorno che passa è un giorno più vicino alla fine. 

Non riesco a uscirne, ci provo e ci riprovo ma ad ogni boccata d’aria è come se stessi respirando acqua.

Ed ogni volta che provo e fallisco affondo sempre di più, tanto da chiedermi se abbia più senso provare a restare a galla. 

Non lo so, non lo so, sono così confusa, ho la testa vuota di pensieri ed emozioni. 

E forse è meglio così perché quando le emozioni affiorano dal baratro in cui cerco di tenerle chiuse è come uno tsunami che avanza inarrestabile. Rabbia, tristezza, frustrazione. 

Scoppio, esplodo non riuscendo più a trattenerle. Non voglio che le emozioni prendano il sopravvento. 

Meglio mantenerle quiete, nascoste al di sotto di tutto. Meglio il vuoto, la calma. 

Mi sta bene, tra un fiume di rabbia e lacrime e l’apatia preferisco la seconda. 

Tanto ormai so fingere bene che non abbia nulla di fuori posto dentro di me. 

Anche perché non importerebbe a nessuno.


13 ott 2022

Writober 2022 - 12. Dimenticare

 La metropolitana proseguiva sul suo binario come ogni giorno. Sebbene non potesse vantare secoli di attività e dozzine di fermate, svolgeva il suo nobile lavoro ogni giorno, trasportando centinaia di passeggeri da un capo all'altro della città. 

Denise lavorava come capotreno da ormai 13 anni e durante le sue traversate aveva incontrato ogni genere di passeggero. 

Un mercoledì mattina, però, arrivati al capolinea, un passeggero non scese. Era una signora di mezza età, con dei capelli biondi e lunghi. Rimase seduta al suo posto come se il treno fosse ancora in movimento. 

«Signora siamo al capolinea, la invito a scendere» le disse Denise gentilmente. 

La signora la guardò come se non sapesse cosa fare. Denise le si avvicinò e le porse un braccio per aiutarla ad alzarsi chiedendole se stesse bene. 

«Certo, sto bene, sono solo sbadata» dispose la donna ridacchiando.

Denise accompagnò la signora fino alla scala mobile per l'uscita «Dove deve andare? Posso darle delle indicazioni se le servono» chiese notando una certa confusione nello sguardo della donna. 

«Devo andare… devo andare… non lo so. Dove sono?»

«Siamo al capolinea della metropolitana, da questa uscita c'è la via principale. Era diretta da qualche parte in particolare?»

La signora rimase in silenzio, si guardò intorno sempre più confusa. 

Denise capì che qualcosa nella signora non andasse, la osservò bene e notò un badge appeso al collo. 

Sorridendo nel tentativo di rendere a proprio agio la signora nonostante la sua confusione le chiese il permesso per prendere il badge per guardarlo.

La donna si ricordò di avere quel badge al collo solo dopo averlo visto in mano a Denise ma sembrava non sapere a cosa servisse. 

A Denise si strinse il cuore nel leggere ciò che c'era scritto:

"Mi chiamo Theresa Davis,  ho 48 anni e soffro di una forma particolare di amnesia. Se dovessi perdermi o confondermi per favore contatta mia figlia a questo numero. Grazie"

Finito di leggere e segnato il numero della figlia, Denise rimise il badge al collo della donna 

«Theresa, adesso chiamò sua figlia va bene?»

«Oh sei una amica di mia figlia?»

Denise sorrise «Certo, mi ha chiesto lei di chiamarla all'arrivo del treno al capolinea, così sarebbe venuta a prenderla»

Theresa parve più tranquilla credendo subito a ciò che le aveva detto Denise. 


All’altro capo del telefono rispose una ragazza, che dalla voce non sembrava avere più di diciotto anni. Denise le spiegò la situazione e le chiese a quale stazione della metropolitana le venisse meglio venire a prendere la madre. La ragazza, che disse di chiamarsi Anna, le disse che quella del capolinea andava benissimo e che nel giro di cinque minuti sarebbe arrivata. 

Denise comunicò al suo superiore della situazione e venne sostituita per quel turno. Preferì rimanere in stazione con Theresa fino all’arrivo della figlia. Quello era decisamente il più insolito e triste incontro della sua carriera.


11 ott 2022

Writober 2022 - 11. Aquila

 L’inverno era ormai alle porte e il cielo sopra le città cominciava ad oscurarsi a causa delle centinaia di camini accesi. Una mattina, approfittando della bella giornata, la famiglia St. James decise di portare i bambini in campagna a prendere un po' d'aria fresca. 

Il viaggio in carrozza era stato tranquillo, David e Florence guardavano fuori dal finestrino pieni di curiosità e impazienza.

Arrivati finalmente a destinazione i bambini scesero di corsa dalla carrozza e quasi trascinarono fuori i genitori. L’atmosfera era tranquilla e gioiosa. Il signor St.James ordinò al cocchiere di prendere il bagaglio così da consentire alla moglie di sedersi all’ombra di un albero. I bambini correvano felici sull'immenso prato sorvegliati a vista dalla madre che si proteggeva dal sole con un ombrello. 

Il cocchiere giunse poco dopo con in mano due grandi cesti e li posò sotto uno degli alberi più grandi. La signora lo ringraziò e aprì uno dei cesti uscendo una grande tovaglia bianca e stendendolo sull’erba. Una volta preso posto aprì il secondo cesto e uscì una grossa brocca d’acqua e dei bicchieri. 

«Bambini non allontanatevi mi raccomando. Volete dell’acqua? È ancora fresca»

David non se lo fece ripetere due volte e corse dalla madre urlando di essere assetato. La madre gli porse un bicchiere e lo riempì fino all’orlo, rendendo felice il bambino che lo bevve tutto d’un fiato. 

Il signore aveva preso posto all’altro angolo della tovaglia e fumava un sigaro con gli occhi chiusi, godendosi il tepore e la tranquillità della campagna.

Finito il suo bicchiere d’acqua David chiese alla madre cosa c’era da mangiare

«Lo scoprirai più tardi, è ancora presto per il pranzo. Dov’è tua sorella?»

«Era laggiù che guardava uno scoiattolo»

I signori St.James, sebbene leggermente preoccupati, diedero fiducia alla figlia e non si alzarono a cercarla, sicuri che sarebbe tornata da sola di lì a poco per chiedere acqua.


Florence era sempre stata attirata dagli animali e le piaceva osservarsi. Il suo sogno era di diventare una biologa anche se i piani dei suoi genitori erano mirati ad un buon matrimonio. Quale migliore occasione se non la campagna per osservare piccoli animali? La fortuna era dalla sua e poco dopo essere arrivati si ritrovò a guardare quello che all'inizio le era sembrato uno scoiattolo ma che era un topolino di campagna. Era piccolino rispetto ai topi che aveva visto in città e il suo pelo era così chiaro che sembrava di argento. Non si era accorto della presenza della bambina e si stava pulendo il musino con le zampe. 

Florence rimase immobile e in silenzio per non spaventarlo, pensava fosse adorabile e non voleva rovinare quell’esperienza. 

Il topino però improvvisamente si fermò e si guardò intorno come se l’avesse sentita. Florence trattenne il fiato, sicura che il topo si fosse accorta di lei. 

Alle sue spalle però, cadde dal cielo come un fulmine a ciel sereno, una grossa aquila che afferrò il topino con i suoi grossi artigli e lo portò via con sé.

La bambina si spaventò così tanto da urlare con tutta la voce che aveva in corpo. L’urlo però non sembrò bastare per scaricare la paura e Florence si ritrovò senza fiato. Era come se i polmoni si rifiutassero di fare entrare aria. Prendeva grossi respiri ma era come se l’aria passasse ovunque tranne che nei polmoni. Si premette il petto, il quale iniziava a farle male, e cercò di chiamare i suoi genitori ma la voce le si bloccava in gola. 

Per fortuna i genitori arrivarono da lei poco dopo, allertati dall’urlo che aveva cacciato prima. La madre si portò le mani alla bocca in preda al terrore, il padre si gettò sulla bambina per aiutarla ma non sapeva cosa fare. 

«Tranquilla amore mio, stai tranquilla. Ci sono mamma e papà adesso. Respira!» le ripeteva il padre tenendola in braccio. 

La signora strinse a sé David che non capiva cosa stesse succedendo. 

Florence continuava a rantolare, in cerca di ossigeno. Guardava terrorizzata il padre e lo pregava con gli occhi di aiutarla. 

Il padre, confuso e spaventato, prese la bambina e corse verso la carrozza chiedendo aiuto al cocchiere, il quale disse subito alla signora di cercare nei cesti un sacchetto o qualcosa di chiuso. La signora, tenendosi la gonna a fatica corse verso il cesto e si mise a cercare. Dopo qualche secondo tirò fuori un piccolo sacchetto di carta contenente delle mele. Tornato dal cocchiere glielo porse piangendo e pregandolo di salvare la figlia. Il cocchiere prese il sacchetto e, rovesciate il contenuto sulla strada, mise il sacchetto sulla bocca della ragazza e le poggiò una mano sul petto per aiutarla a regolarizzare il respiro. 

I signori St.James e il piccolo David rimasero a guardare e pregarono che Florence si riprendesse. 

Passò circa un minuto quando il respiro di Florence si tranquillizzò. Il cocchiere tolse il sacchetto e chiese ai genitori di dargli qualcosa da mettere sotto la testa. Il padre si tolse la giacca e la appallottolò per farne un cuscino. 

La bambina aveva ripreso a respirare normalmente ma era esausta

«La crisi è passata. È meglio se torniamo in città e la fate visitare da un medico.»

«Vi sarò per sempre riconoscente, avete salvato la vita alla mia bambina. per la prima volta non avevo idea sul da farsi. Mi sono sentito impotente» disse il signore abbracciando la moglie che piangeva per scaricare la paura.

Il cocchiere diede una pacca sulla spalla al signore e aiutò la famiglia a salire in carrozza per andarsene. 

Per quella volta era andata bene.


10 ott 2022

Writober 2022 - 10. Scorbutico

 Ultimamente nell'aula di pittura c'era un'aria particolarmente pesante. Nonostante le finestre fossero tutte aperte c'era un caldo soffocante e il forte odore di colore a olio misto a trementina dava quasi alla testa. 

Ogni studente era intento a spennellare sulla propria tela, tranne James. Già da qualche settimana prendeva posto nell'angolo più lontano dell'aula così da avere sia dietro che di lato il muro e potersene stare per i fatti propri e lontano dagli sguardi dei suoi compagni. Quella mattina, seduto sul suo sgabello e davanti alla tela con una copia de “La ragazza col turbante”, James si addormentò. Teneva ancora il pennello con una mano e la tavolozza con l'altra ma la testa era penzolante da un lato e gli occhi chiusi. 

Allyson incuriosita si avvicinò a lui e lo scosse per una spalla. James sobbalzò e cacciò via la mano di Allyson con violenza.

«Lasciami in pace» le disse senza neanche guardarla e posando il pennello nel barattolo accanto a lui. 

«Caspita, ci siamo alzati con il piede sbagliato stamattina? Come sei scorbutico» replicò Allyson con tono contrariato. 

James, posato anche la tavolozza sul tavolo, si fregò gli occhi come per cercare di svegliarsi

«Ma che scorbutico…alzarsi presuppone l’aver dormito, cosa che non ho fatto. Quindi per favore, lasciami in pace.»

Allyson non ascoltò e prese uno sgabello per sedersi accanto a lui.

«Notte di fuoco? Dai a me puoi dirlo, so mantenere i segreti»

James la guardò come se fosse impazzita «Seh, notte di fuoco. Almeno ci sarebbe stato il lato positivo del non dormire»

A quel punto Allyson guardò James con espressione preoccupata. Già da giorni aveva notato le occhiaie e l'irritabilità dell'amico ma in quel periodo erano pieni di compiti e consegne per cui aveva sorvolato ma sentendolo parlare in quel modo aveva cominciato a preoccuparsi.

«Qualcosa non va? Problemi a casa?»

James fissava la sua tela: «No, tutto relativamente calmo, ma sono settimane che non riesco a dormire. Anzi, mi addormento ma poi mi sveglio in continuazione e faccio fatica a riaddormentarmi.»

Allyson ci pensò su: «Scusa la domanda scema ma hai provato a prendere qualcosa?»

James rise e la guardò come per confermare che era una domanda scema: «Ho provato camomilla, tisane, valeriana, melatonina, di tutto. Ormai se dormo un totale di due ore a notte e tanto»

«Wow, come fai a stare in piedi con così poche ore di sonno addosso?»

James sospirò e poggiò la schiena al muro: «Non riesco, per l’appunto. Passo tutto il giorno intontito e di cattivo umore, a volte mi capita di addormentarmi in piedi alla fermata della metro o come poco fa in aula. Non so come uscirne»

Allyson si sentiva impotente di fronte alle parole di James, voleva aiutarlo ma non sapeva come. Si limitò ad appoggiare la mano su quella di James in segno di sostegno. 

«Si risolverà, non so bene come ma sono sicura che passerà. Hai provato a parlarne ai tuoi?»

James rise come se quella di Allyson fosse stata una battuta e non una domanda

«A chi? A mio padre che è 20 ore su 24 a lavoro e quando è a casa neanche si accorge della mia presenza? O a mia madre che prende come un attacco personale qualsiasi cosa gli si dica? Nah meglio di no»

Allyson rimase in silenzio, quasi in colpa per l’aver fatto quella domanda. 

James sorrise come rassegnato per la sua situazione, riprese il pennello e si mise a guardare la tela in cerca di un ponto da ritoccare

«Vieni a dormire da me, magari quella sottiletta del materasso del mio divano ti aiuta a prendere sonno» Allyson rise e diede una spallata a James per convincerlo.

«Ci sto, al massimo colleziono oltre l’insomma pure un bel mal di schiena» James rise rispondendo ad Allyson, la quale esultò. 

Allyson passò il resto dell’ora di pittura ignorando la sua tela e restando seduta accanto a James e guardandolo dipingere.


9 ott 2022

Writober 2022 - 9. Nido

  Salvo si sistemò sulla sua postazione e avviò la diretta streaming. Ogni sera, puntuale come un orologio svizzero, si connetteva e passava circa 3-4 ore in live chiacchierando con i suoi follower e giocando a diversi videogame. 

Come era solito fare aspettò che i primi utenti si connettessero per iniziare a parlare.

«Buonasera ragazzi, tutto bene? Oggi un’altra giornata di caldo asfissiante qui da me, dovrei decidermi a far installare un condizionatore»

Mentre sorseggiava della birra si mise a leggere la chat che iniziava a scorrere velocemente di saluti e domande.

Dopo circa dieci minuti, visto il numero di utenti ormai collegati alla live, iniziò a guardare la sua lista di giochi

«Stasera che ne pensate se al posto di continuare la run di ieri provassimo questo nuovo horror indie uscito stamattina? Non lo conosco ma sembra spaventoso. Nel frattempo potete farmi qualche domanda, così mi passa la paura mentre gioco» si fece una grassa risata dando un’occhiata veloce alla chat. 

Il gioco venne avviato e l’atmosfera si fece cupa, i suoni sinistri e inquietanti provenienti dal gioco mettevano in ansia persino gli spettatori. 

«Questo gioco mi mette la pelle d’oca, avrà pure un grafica un po’ bruttina ma sa come farti spaventare.»

La voce robotica del sintetizzatore vocale che leggeva le domande selezionate dal moderatore fece prendere uno spavento a Salvo ancora più del gioco.

«Sei il mio stream preferito, quando pensi di fare un evento con i fan?»

Salvo sorrise ma non distolse lo sguardo dal gioco

«Non saprei, per il momento non ce ne sono in programma, forse un futuro, chissà»

All’improvviso un urlo proveniente dal giuoco fece fare un salto sulla sedia Salvo, che quasi lanciò il pad per aria. Dopo lo spavento rimase a fissare lo schermo con mezzo sorriso e una mano sul petto per controllare che il cuore non gli fosse esploso in petto. La chat impazzì di risate e parolacce per lo spavento, cosa che lo divertì parecchio

«Io lo so che voi amate vedermi morire dentro vero? Siete dei sadici. Non potevo giocare a “costruisci il tuo cavalluccio a dondolo”?»

Salvo fece un sospiro ancora ridendo e riprese il gioco.

La voce automatica lesse una nuova domanda «Sei mai stato all’estero? Se sì, dove?»

«No, non ho mai viaggiato molto in vita mia, e non ho mai messo piede fuori dal paese. Ho una forte paura degli aerei e soffro praticamente qualsiasi malessere legato ai trasporti»

Salvo rispose spontaneamente senza però distogliere lo sguardo dal gioco. Un altro urlo lo fece sobbalzare ma ormai ci aveva preso la mano e riusciva a gestire il mostro che lo inseguiva.

«Non mi prenderai, merda! Ormai conosco la strada!» disse al mostro del gioco come se potesse sentirlo.

Un’altra domanda venne letta dalla voce automatica «Come mai con il numero di fan che hai non hai mai pensato a fare un raduno?»

Salvo mise in pausa il gioco e si distese sullo schienale della sedia.

«Vedete, a me non piace molto uscire di casa. Ho il mio lavoro qui sulla piattaforma e mi riesco a gestire anche tutto il resto senza dover uscire. Ormai casa mia è diventata il mio nido, un posto sicuro dove si vive bene e lontano dai pericoli. Quindi per quanto vi voglia bene e apprezzi il vostro supporto, al momento non mi sento di fare eventi del genere. Spero non me ne vogliate.» 

Salvo restò in quella posizione a guardare la chat. La maggior parte gli mostravano il loro supporto incondizionato, molti si lamentavano del fatto che non avrebbero potuto vedere il loro idolo, altri gli chiedevano se avesse avuto brutte esperienze che gli avessero fatto passare la voglia di uscire.

Salvo le lesse una ad una senza però dire un’altra parola. Con gli anni aveva imparato che aprirsi troppo non era mai una buona idea e che mantenersi sul vago nel rispondere era un buon compromesso. 

«Ragazzi, finiamo questo bel gioco? Speriamo non mi faccia prendere altri infarti che se no i vicini vengono a bussarmi per prendermi a mazzate»

Salvo tornò dritto e riprese in mano il pad, pronto a proseguire la sessione di gioco. 

Rimanere sul vago era sempre la via migliore.


8 ott 2022

Writober 2022 - 8.Match

 Il gruppo di amici era riunito in un gazebo in una parte poco frequentata della villa cittadina. Era stato Giorgio a consigliare quel luogo e alla comitiva era piaciuto subito per chiacchierare in santa pace senza essere disturbati. 

In realtà a Giorgio interessava soprattutto non trovarsi in mezzo a troppa gente e godersi i pomeriggi con gli amici senza ansie esterne. 

Quel pomeriggio l’argomento principale, oltre al freddo che finalmente iniziava a farsi vivo a ottobre inoltrato, era un match di wrestling che si sarebbe svolto in città nel fine settimana. Carlo, che ne era particolarmente appassionato e aveva atteso quel momento per anni, cercava di convincere il resto del gruppo ad andare tutti insieme

«Eddai…quando mai ci ricapiterà un’occasione come questa?»

«Ma non ne ho mai visto uno, non conosco neanche le regole» aveva obiettato Claudia. 

Carlo si stava dondolando su un tubo della struttura che copriva il gazebo con espressione annoiata, un modo per prendere in giro l’amica.

«Che ti importa delle regole, è un modo per vedere omaccioni prendersi a sediate in testa» Teresa sembrava eccitata all’idea di andare a quell’incontro e si era unita a Carlo nel tentativo di convincere gli altri.

«Tu che ne dici?» Disse Ivan rivolgendosi a Giorgio che, seduto sullo schienale della panchina del gazebo, guardava i piccioni mangiare semini caduti dagli alberi.

«Cosa? Ah l’incontro…beh io non penso di venire. Non mi è mai piaciuto il wrestling e non avrebbe senso andarci»

Carlo smise di dondolare e si lanciò davanti Giorgio facendolo sobbalzare «Dai non essere noioso, non è l’incontro in sé ma il passare una serata diversa dal solito insieme.»

Claudia sembrò ragionarci su «Beh in effetti sarebbe qualcosa di diverso, inizio anche a stufarmi di questo gazebo in culo al mondo»

Il gruppo si mise a ridere, Giorgio però rimase serio «No davvero ragazzi, non ne ho voglia»

Teresa gli si avvicinò e gli prese le spalle per scuoterlo «Esci da questo corpo! Dov’è hai messo il vero Giorgio? Non eri tu quello che fino a qualche anno fa voleva stare sempre in giro?»

Giorgio abbozzò un sorriso ma non rispose.

Ivan si intromise tra i due, allontanando Teresa come quando si tira via una bambina dalla vetrina del negozio di caramelle «Alla fine sono solo un paio di ore, sarebbe brutto non averti con noi»

Tutti i ragazzi del gruppo iniziarono a fissare Giorgio nel tentativo di convincerlo. Dopo un lungo sospiro Giorgio accettò di venire con loro. 


Il giorno del match arrivò e il gruppo era in fila per entrare. Tutti erano eccitati da quella nuova esperienza mentre Giorgio era particolarmente silenzioso, abbozzava dei sorrisi con gli altri per non far notare il suo forte disagio. 

Finalmente entrati si sedettero ai loro posti e attesero l’inizio del match mangiucchiando pop corn. La sala era pienissima e le urla del pubblico facevano vibrare gli spalti. 

Poco dopo i primi due lottatori entrarono e iniziarono a fare capriole e lanciare l’avversario fuori dal ring. 

Mentre i ragazzi erano intenti a tifare prima per uno poi per l’altro lottatore, il disagio di Giorgio stava diventando ingestibile. Gli mancava l’aria e aveva il battito accelerato. All’inizio aveva trovato conforto nei pop corn per cercare di resistere a quella massa di persone intorno a lui ma ben presto sopraggiunse una forte nausea. Non poteva restare un attimo di più in quell’inferno. Senza dire una parola agli amici si alzò di scatto e, spingendo via gli altri spettatori che lo separavano dalle scale per l’uscita, si dileguò in pochi secondi. 

Fù Claudia, che era seduta accanto a lui, ad accorgersi che era andato via e avvisò gli altri del gruppo ma insieme pensarono che aveva semplicemente bisogno di andare al bagno. 

Giorgio quasi corse verso l’uscita, sentendo il cuore esplodergli nel petto. 

Una volta in strada, lontano da tutti, fu come tornare a galla quando si sta affogando. Si sedette sul bordo del marciapiede e prese delle boccate d’aria fino a riempirsi i polmoni. Accettare di venire a quel match era stato un grosso errore ma dentro di sé aveva sperato di riuscire a gestire tutto. 

Dopo qualche minuto alle sue spalle comparve Claudia, con espressione preoccupata. La ragazza gli si sedette accanto e gli chiese se stesse bene. Giorgio inizialmente disse di sì. poi confessò il forte disagio provato all’interno, quasi vergognandosi. 

Claudia non disse nulla, allungò un braccio verso Giorgio e lo strinse a sé.

«Posso chiederti il favore di non dire nulla agli altri?» chiese Giorgio quasi sussurrando.

«Non preoccuparti, ti sei solo strafogato di pop corn e hai sboccato, giusto?» Claudia lo guardò ammiccando e Giorgio si sentì meglio. I due rimasero seduti, guardando le stelle e chiacchierando. 


6 ott 2022

Writober 2022 - 6. Bouquet

Da quando Alphonse aveva iniziato a lavorare per quella impresa di pulizie ne aveva viste di tutti i colori. Lui e i suoi colleghi di lavoro erano specializzati in pulizia e sgombero di vecchie case abbandonate o di persone decedute. Quella mattina insieme ad altri quattro colleghi erano andati in un appartamento di una vecchia signora che era deceduta dopo un ricovero psichiatrico coatto. La padrona di casa, appreso della morte della donna, era entrata nell'appartamento con la sua copia delle chiavi e si era trovata davanti ad una scena sconvolgente. 
Erano poco passate le 8 del mattino quando la squadra di Alphonse arrivò sul luogo. La padrona di casa che li accolse sulle scale era una donna di mezza età e aveva l'espressione di qualcuno che ha appena visto un fantasma. 
Aperta la porta dell'appartamento Alphonse capì il perché di quella espressione. Chili e chili di spazzatura accumulata ad ogni angolo della casa, sul pavimento una distesa di polvere e carta, i mobili quasi sommersi da oggetti di ogni tipo. 

«Mon Dieu, questo posto é una discarica» disse Dominic, un membro della squadra, mentre dava un calcio ad uno scatolone poco davanti l'ingresso.

«A quando pare la donna era una accumula trice compulsiva» aggiunse Claude sporgendosi in avanti per dare un'occhiata.

La padrona di casa neanche si avvicinava all'ingresso, parlava alla squadra dalle scale

«Non avevo idea che la signora avesse questo disturbo, é sempre stata discreta e puntuale con l'affitto per cui non avevo modo di immaginare tutto questo»

«Ma nessuno dei vicini ha mai avuto sospetti? Insomma, non c'è proprio un buon odore qui dentro» chiese Adrien quasi vergognandosi di quella considerazione.

«No, nessuno. Essendo un'anziana tutti hanno pensato fosse solo, che dio mi perdoni, "odore da vecchio"»

Alphonse guardò Dominic e, dandogli un colpetto sul braccio, gli fece cenno di entrare. 
Alle loro spalle la padrona di casa si avvicinò di fretta di qualche passo
«Ah ragazzi scusate, ho dimenticato una cosa. La signora parlava sempre di un bouquet a cui teneva molto. Per lei era come un gioiello prezioso, probabilmente qualche spilla, non ho idea. Per favore se lo trovate, non gettatelo, vorrei poterlo lasciarlo sulla sua tomba»

Alphonse rassicurò la donna che dopo diversi ringraziamenti scese le scale e se ne andò.

Una volta soli i ragazzi si guardarono tra loro come per chiedersi a vicenda da dove iniziare il lavoro. Insieme concordarono che era meglio iniziare dalla camera da letto. Facevano fatica a camminare in mezzo a tutti quei rifiuti, Adrien si disse preoccupato della presenza di qualche topo facendo ridere il resto della squadra.

Pian piano iniziarono a riempire i sacchi con qualsiasi cosa era presente della stanza. Gli armadi erano spalancati e pieni di volantini pubblicitari, sul letto erano ammassati i vestiti. Quella che una volta era una credenza era diventata un deposito di vasetti di qualsiasi tipo.
Alphonse era intento a svuotarla quando si accorse di un vecchio bouquet ormai secco, messo dentro uno di questi vasetti. Era ancora incartato e con un biglietto appeso. Si chiese se fosse quello di cui parlava la padrona di casa. Preso dalla curiosità lesse il biglietto: "A Agnés. Fra tutte la più bella, per sempre ti amerò. Tuo Oliver". 
Alphonse si accorse che, sommersa tra gli altri oggetti, c'erano delle piccole cornici con delle foto. In una era raffigurata una coppia di giovani in abiti matrimoniali, in un'altra il giovane dell'altra foto in divisa militare, una terza foto raffigurata i due sposi che ridevano tenendosi per mano. 

«Ragazzi, penso di aver trovato il tesoro della signora ed è la cosa più bella e triste che abbia mai visto»

I ragazzi lo raggiunsero e insieme guardarono le foto e il bouquet che nonostante i decenni manteneva tutto l'amore con il quale era stato regalato. Era davvero un gioiello prezioso. 


5 ott 2022

Writober 2022 - 5. Fiamma

 L’intervistatore era seduto su una sediolina in stoffa, teneva in mano un microfono e una cartellina con appuntate le domande che si era preparato in precedenza. Di fronte a lui era seduto un ragazzo, 25 anni circa, vestito con un completo nero e i capelli rosso fuoco. Guardava l’intervistatore mentre si dedicava alla presentazione dell’intervista, anche lui teneva in mano un microfono.


«Buongiorno a voi spettatori, siamo qui con il famoso artista Andrew Johnson per parlare della sua nuova mostra intitolata “Flame”. Dunque, Andrew, come è nata la tua arte?»


Andrew si avvicinò il microfono alla bocca:


«Intanto vorrei ringraziare te e tutti coloro che sono già venuti alla mostra. Se volessi riassumere la mia arte in breve direi che esplorazione e sperimentazione sarebbero le parole perfette. Sono affascinato dal fuoco da quando ho memoria ma finora non avevo trovato l’idea giusta per sfruttarla per la mia arte. Quando, per così dire, mi si è accesa la lampadina mi sono buttato a capofitto nella sperimentazione per trovare il metodo migliore.» 


L’intervistatore diede un’occhiata veloce alla cartellina, mentre si accingeva a porre la prossima domanda si sporse in avanti dalla sedia


«L’uso della cenere, dico bene?»


Andrew fece di sì con la testa sorridendo:


«Esattamente. Alla base dei colori che uso per dipingere le tele c’è la cenere. Nel mio studio ho un piccolo giardinetto dove, tramite un braciere che ho fatto costruire appositamente, metto a bruciare diversi oggetti in base al dipinto che ho intenzione di realizzare. È stata una scoperta quando mi sono reso conto che ogni oggetto ha una gradazione di colore diversa di cenere. Ho iniziato con fogliame di alberi diversi, carta e cartone, tabacco e molto altro»


L’intervistatore sembrava ammaliato dalle risposte di Andrew, tanto che lui stesso si chiese se non aveva mai avuto a che fare con un artista o era semplice scena per attirare l’attenzione. 


«Anche io non ne sapevo nulla, per me la cenere è sempre stata soltanto cenere. Ma dimmi, cosa ti piace di più tra il bruciare gli oggetti e l’usarne la cenere per dipingere?»


Andrew rise a quella domanda ma rispose genuinamente


«Ovviamente bruciare, no scherzo. Usare la cenere sfruttandone la vastità di gradazioni diverse è un’esperienza fantas-»


La registrazione venne interrotta a metà frase.  

Andrew era seduto al suo pc e riguardava l’intervista del giorno precedente. La stanza era invasa dal fumo, troppo per provenire dalla sigaretta che aveva in bocca. In mano teneva uno zippo, con il quale giocava ad accendere e spegnere chiudendolo. Guardava la sua immagine immobile sullo schermo con espressione seria. 


«Sei proprio un ipocrita e bugiardo» 


Il rumore dello zippo era ripetitivo e metallico. La sigaretta era arrivata alla fine e la cenere era sul punto di cadere da sola. Andrew continuava a fissare se stesso sullo schermo. Provava disgusto verso l’immagine che si era creato per il pubblico. 


«La cenere, ma per favore. A me quello che interessa è bruciare tutto quello che mi capita davanti. I quadri sono solo un modo per disfarmi dei resti di ciò che brucio. Ma ovviamente questo non lo dico, in realtà sono solo un bravo ragazzo a cui piace dipingere. Davvero Andrew? È questo quello che vuoi mostrare al mondo? Hai forse paura di essere giudicato?»


Smise di giocare con lo zippo, distolse lo sguardo dallo schermo e si misa a guardare la fiammella dell’accendino. Brillava intensamente, vibrando a suo respiro. Poteva guardare quel fuoco così caldo e affascinante  senza mai stancarsene. 


«“Non bruciare tutto Andrew! Perché hai bruciato le mie tende Andrew? Che fine ha fatto il gatto della vicina, ne sai qualcosa Andrew? Così non va bene Andrew, sei malato! Perché dio mi ha dato un figlio del genere?”. Stupida puttana, guarda dove sono adesso. Il figliol prodigo è qualcuno, mentre tu sei solo genere in un’urna»


Andrew chiuse lo zippo, nella stanza rimase solo il bagliore dello schermo del pc con ancora l’intervista in pausa.